Materiali

Da FountainPen.
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Una storia della stilografica non può essere completa senza una analisi dei principali materiali che sono stati utilizzati nella costruzione delle penne nell'arco degli oltre 100 anni di vita di questo oggetto. I materiali infatti hanno costituito un elemento di innovazione e di distinzione, sia sul piano tecnico che sul piano stilistico, ed anche oggi le varie marche cercano di valorizzare i loro modelli esaltando la preziosità (reale o presunta) dei materiali impiegati per costruire le proprie penne.

Se al giorno d'oggi l'evoluzione della tecnologia consente di utilizzare i materiali più vari nella produzione di stilografiche, un tempo la scelta dei materiale era dettata da precise ragioni tecniche o economiche, che solo in un secondo tempo assumevano anche aspetti stilistici. Oggi invece l'uso dei materiali più esoterici, alcuni dei quali, come la pietra ed il legno, sono senz'altro poco adatti ad un oggetto di uso quotidiano, sembra dettato esclusivamente dalle logiche di un mercato rivolto soltanto alla creazione dell'oggetto esclusivo, spesso del tutto inutilizzabile, e perciò di valore discutibile, o dalla ricerca di una originalità fine a sé stessa e senza nessuna utilità pratica, che spesso porta a risultati pacchiani, o semplicemente brutti.

Prenderemo in esame qui solo i materiali utilizzati tradizionalmente per la costruzione del corpo (e del cappuccio) della penna, tralasciando i dettagli relativi alle altre parti, come le decorazioni o i pennini. Riguardo questi ultimi occorre dire soltanto che se agli albori della stilografica essi venivano realizzati in oro per motivi tecnici (la resistenza alla corrosione degli inchiostri, particolarmente aggressivi rispetto alle leghe di acciaio dell'epoca), a partire dalla metà degli anni '30 la scelta del materiale rimase questa soltanto per motivi commerciali, dato che l'uso dell'acciaio inossidabile avrebbe consentito (e in molti casi, come per la Esterbrook e gli shiro nib dei produttori giapponesi, consentì) una sostituzione senza nessun rimpianto dell'oro.

Seguono, in approssimativo ordine storico di utilizzo, le descrizioni[1] dei principali materiali utilizzati per la realizzazione di stilografiche; alcuni dei quali (come metallo e resina plastica) devono essere considerati come indicazioni generiche piuttosto che come specificazione precisa.

Ebanite

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Calamaio da viaggio Montblanc in ebanite

L'ebanite è un materiale inventato[2] nel 1843 e prodotto con un procedimento di vulcanizzazione della gomma in cui la gomma naturale viene mescolata ad una percentuale variabile (dal 20 al 50%) di zolfo, ed indurita mantenendola ad alta temperatura per un tempo prolungato (alcune ore intorno ai 150°). L'ebanite viene generalmente prodotta in fogli, barre o lastre, che devono essere successivamente lavorati, non è infatti possibile una realizzazione a stampo.

L'ebanite è un materiale duro e fragile, molto resistente alla corrosione da parte degli acidi, e si ammorbidisce quando viene scaldato. E' un ottimo isolante elettrico. Risulta di facile lavorazione ed è stata utilizzata sia per la costruzione di oggetti che come isolante elettrico (uso che mantiene ancora oggi). Deve il suo nome[3] all'essere stata impiegata inizialmente come sostituto dell'ebano. La sue caratteristiche di resistenza agli agenti chimici la han vista impiegare per molti anni come isolante, rivestimento di parti soggette a corrosione e come involucro delle batterie delle auto.

L'ebanite costituisce il primo materiale utilizzato per la produzione di penne stilografiche, in uso fin dai primi esemplari prodotti alla fine del 1800. Se anche alcuni oggetti considerati precursori della penna stilografica vennero realizzati in metallo, le prime stilografiche nacquero sostanzialmente in conseguenza della invenzione di questo materiale, che con le sue caratteristiche di lavorabilità, inerzia chimica (e conseguente resistenza alla corrosione), si rivelò ottimale per la costruzione del quel serbatoio di inchiostro che era in effetti il componente principale delle prime stilografiche, e questo anche grazie alle sue caratteristiche di isolante termico, che evitano la trasmissione del calore della mano all'aria del serbatoio, con conseguente aumento di pressione e perdita di inchiostro.

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Esempio di scoloritura di una Swan in ebanite

Il materiale soffre però di elevata fragilità meccanica, che rende le penne in ebanite poco resistenti ad urti e cadute, in questo caso la neutralità chimica si dimostra un difetto in quanto rende quasi impossibile incollare fra loro pezzi di ebanite in maniera resistente. Inoltre con l'esposizione alla luce, all'umidità ed al calore lo zolfo presente nel materiale tende ad ossidarsi, e ad affiorare sulla superficie, colorandola con una sorta di pellicola opaca marrone scuro che rimuove la lucentezza della lucidatura originale. Questa patina è indice dell'età di una penna, e anche se oggi esistono prodotti che possono invertire il processo e riportare il materiale alla lucentezza originaria, l'opportunità di una tale operazione viene messa in discussione da coloro che non la ritengono rispettosa dello stato della penna.

Oltre alla fragilità meccanica, l'altro difetto fondamentale dell'ebanite, almeno dal punto di vista dei produttori di stilografiche, è relativo alla sostanziale impossibilità di colorazione. Il colore naturale dell'ebanite infatti è il nero, gli unici altri colori ottenibili con relativa facilità sono l'arancio, grazie all'uso di cinabro, o il rosso scuro (con l'uso di ematite).[4] Questo ha dato luogo a diverse lavorazioni, dalla classica ebanite rossa, alle varie combinazioni fra ebanite rossa e nera (Mottled, Rippled, ecc.) fino alla produzione, portata avanti sostanzialmente dalla sola Waterman[5] nella sua ostinazione a non abbandonare questo materiale, di colori come il verde, l'azzurro, il giallo ed il rosa. Ma alla fine nessuno di questi colori poteva competere con la brillantezza offerta dai nuovi materiali, ed in particolare dalla celluloide, e l'ebanite è stata progressivamente abbandonata come materiale usato per il corpo della penna, restando impiegata però fino ai nostri giorni nella produzione degli alimentatori.[6]

Galalite

La galalite è un materiale inventato nel 1897[7] a partire dal trattamento della caseina (proteina del latte) con formaldeide, tanto che spesso viene chiamata semplicemente caseina, anche se una tale indicazione non è corretta in quanto la caseina indurita non presenta le caratteristiche di resistenza chimica e meccanica della galalite, il cui nome deriva dall'unione delle parole greche gala (latte) e lithos (pietra).

Il materiale viene prodotto tramite un procedimento in cui la caseina viene impastata e colorata e poi lavorata per produrre fogli, barre o lastre; questi vengono poi trattati per immersione in una soluzione diluita di formaldeide che ne causa, con una reazione molto lenta, il progressivo indurimento. Infine il materiale ottenuto viene fatto essiccare e poi può essere lavorato. Il procedimento di produzione è pertanto molto lento (per spessori di 2,5 cm può richiedere anche un anno di immersione), inoltre, anche se i fogli di galalite possono essere piegati a caldo, non è comunque possibile la produzione a stampo, il che rende la lavorazione del materiale più complessa.

Una delle caratteristiche più rilevanti di questo materiale è invece la facilità di colorazione, che consente di creare infinite variazioni ed imitare diversi materiali, tanto che veniva chiamato anche corno artificiale. La colorazione infatti, oltre al mescolamento dei colori nella fase di produzione, può essere ottenuta, grazie all'elevata porosità del materiale, in una seconda fase immergendo la galalite in bagni di colorazione per ottenere l'assorbimento dei pigmenti. Il nuovo materiale ebbe una grande diffusione nella produzione di bottoni, dove viene impiegato ancora oggi, e per la sostituzione dell'avorio nella copertura dei tasti di pianoforte.

La galalite venne utilizzata nella produzione delle stilografiche da alcune aziende intorno agli anni '20, quando iniziò una ricerca sui materiali che consentisse di sostituire l'ebanite. In particolare Sheaffer la utilizzò per alcuni modelli prodotti per un tempo molto breve, che per i problemi riscontrati vennero riutilizzati come penne per la sostituzione temporanea. Parker adottò la galalite per la produzione delle stilografiche della serie denominata Ivorine, anche se l'utilizzo più esteso venne probabilmente fatto dalla Conway Stewart per la produzione di alcune delle sue più originali penne colorate.

La galalite non ebbe però un grande successo e venne rapidamente abbandonata con l'avvento della celluloide. La sua porosità infatti la rende fortemente igroscopica, con la tendenza ad espandersi con l'umidità, il che comporta problemi di stabilità meccanica. Ancora peggiore, sempre per questa caratteristica, la sua resistenza all'inchiostro, che tende a produrre macchie permanenti. Inoltre l'immersione in acqua (anche solo per poche ore) comporta una espansione (fino al 10%) ed un ammorbidimento del materiale, con conseguenze distruttive in quanto ad una successiva asciugatura questo perderà la forma originale. Infine con il tempo il materiale tende a presentare delle screpolature (in genere si presentano per lunghe esposizioni alla luce e si ritiene siano causate dalle variazioni di umidità subite) che sono solo apparentemente superficiali e non possono essere rimosse.

Per tutti questi motivi, con l'eccezione della Conway Stewart che ha continuato a produrre penne in questo materiale fino agli anni '30, alla metà degli anni '20 la galalite è stata totalmente abbandonata in favore della celluloide, cosa che, unita alla fragilità del materiale che le rende di difficile conservazione, ha fatto sì che le penne costruite con esso, in particolare le Sheaffer e le Parker, siano molto rare.

Metallo

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Una Wahl Engine Turned, una delle prime penne realizzate in metallo

Benché esistano alcuni antesignani delle stilografiche interamente prodotti in metallo, e benché i rivestimenti metallici siano stati usati come elementi decorativi e protettivi di penne in ebanite fin dai primi del 1900, la suscettibilità alla corrosione di questo materiale lo ha reso per molti anni inadatto alla costruzione del corpo di una stilografica, dove il contatto con gli agenti corrosivi presenti nell'inchiostro ne avrebbe provocato un precoce deterioramento.

E' solo dopo l'introduzione dei vari sistemi di caricamento basati sull'uso di un sacchetto di gomma come serbatoio dell'inchiostro, che è diventato possibile realizzare una penna con corpo e cappuccio metallico, come fatto dalla Eversharp con le sue Wahl Engine Turned. In questo caso infatti l'inchiostro non entrava in contatto con il corpo della penna, se non in caso di rottura del sacchetto, cosa che comunque richiedeva una ripulitura più o meno immediata dell'intera penna, e non si avevano pertanto i problemi di corrosione.

Come materiale da costruzione il metallo presenta diversi vantaggi rispetto all'ebanite, sia sul piano della lavorazione, che della resistenza meccanica, consentendo spessori più sottili e penne più resistenti agli urti. Inoltre la possibilità di laccature o smaltature consente anche decorazioni molto sofisticate, del resto già sperimentate nei vari rivestimenti.

Lo svantaggio principale (anche se non tutti lo ritengono tale) è quello del peso, dato che a parità di dimensione il peso di una penna in metallo è nettamente superiore a quello di una penna in plastica. Questo per alcuni rende la penna meno comoda e più faticosa una sessione di scrittura. Oltre a questo occorre notare che se pure la resistenza meccanica assoluta del metallo è nettamente superiore a quella dell'ebanite, in caso di urti l'ebanite, qualora non si verifichi l'esito catastrofico di una rottura, è del tutto immune alle ammaccature che invece sono abbastanza comuni nel caso del metallo.

Ad oggi, essendo scomparsi con il caricamento a cartuccia ormai diffuso quasi universalmente i problemi di corrosione, il metallo resta uno dei materiali usati correntemente nella realizzazione di stilografiche, anche se in misura nettamente inferiore rispetto alla preponderante presenza di penne prodotte in plastica.

Bachelite

Pubblicità di modello Parker in bachelite

La bachelite un materiale sintetizzato per la prima volta nel 1907[8] prodotto dalla reazione sotto pressione e calore di fenolo e formaleide mescolati con degli opportuni riempitivi (spesso farina di legno, che le da il tipico colore marrone) ed è la prima resina fenolica che sia stata prodotta.

È un materiale dotato di elevatissima resistenza elettrica, che ha visto un ampio impiego nella realizzazione di isolanti in circuiti ed interruttori. È inoltre dotato di una ottima resistenza al calore, proprietà che unita alla capacità di isolamento lo ha visto impiegato diffusamente nella realizzazione degli involucri di apparecchi elettrici come radio e telefoni.

Le sue caratteristiche fisiche, ed in particolare quella di poter essere realizzato anche in forma trasparente, lo hanno reso un buon candidato anche per la produzione di penne stilografiche ed è stato utilizzato in particolare dalla Dunn, probabilmente il primo produttore a realizzare una stilografica a caricamento automatico con il corpo trasparente per la visualizzazione dell'inchiostro, anche se è noto l'impiego del materiale da parte della Parker fino dal 1913.[9]

Essendo però un materiale relativamente recente, ed entrato in produzione industriale a metà degli negli anni '10, ha conosciuto una diffusione piuttosto scarsa rispetto all'ebanite. Essendo poi di difficile colorazione non ha avuto successo neanche in seguito a causa dell'emergere, negli stessi anni, dell'impiego della celluloide con i suoi colori sgargianti.

Nonostante questo la bachelite è stata utilizzata da vari produttori, come la Parker per alcuni modelli precedenti la Duofold (in particolare per la Lucky Curve 20), la citata Dunn e la Pelikan che la impiegò nella realizzazione del corpo trasparente delle prime versioni della 100.

Laccanite

Come accennato uno dei principali difetti dell'ebanite è quello di scolorirsi a causa dell'ossidazione e della riemersione dello zolfo a causa dell'esposizione alla luce e all'umidità. Questo, che è un problema generale del materiale, in un paese come il Giappone veniva particolarmente accentuato dal clima caldo ed umido. Per questo motivo la Pilot cercò di porvi una soluzione ed a partire dal 1923 adottò una lavorazione che si rifaceva alla tradizionale tecnica della lacca, che veniva applicata come uno strato di verniciatura sopra l'ebanite. Ma nonostante la verniciatura alleviasse il problema, esso si ripresentava regolarmente, anche se su tempi un po' più lunghi.

La soluzione definitiva venne trovata nel 1925, con un nuovo procedimento produttivo che prevedeva di far ruotare al tornio ad alta velocità i fusti di ebanite applicandovi sopra delle strisce di feltro imbevute di lacca, così che per il calore della frizione questa potesse penetrasse in profondità nel materiale. Questo procedimento portò al brevetto di un nuovo materiale, denominato appunto Laccanite (o Laconite), dotato di una splendida lucentezza e di grandissima resistenza agli agenti atmosferici.

La laccanite però non ebbe il grande successo internazionale che la Pilot si aspettava, perché anche se rimediava ad alcuni dei principali difetti tecnici dell'ebanite non rimediava al suo principale difetto estetico: quello di essere un materiale praticamente monocolore. Per questo, di fronte alla concorrenza della celluloide che in quegli stessi anni stava conoscendo una grande diffusione, questo materiale non conobbe significativa diffusione fuori dal Giappone, almeno fino a quando non venne unito ad un'altra lavorazione tradizionale giapponese, quella del Maki-e, portando alla produzione di quei capolavori che hanno reso la Pilot, e le altre aziende giapponesi, protagoniste indiscutibili della storia della stilografica.

Celluloide

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Una Vacumatic in celluloide di particolare trasparenza

La celluloide è un materiale inventato intorno al 1863,[10] prodotto dalla lavorazione di nitrocellulosa e pigmenti in una soluzione di canfora e di alcool etilico. Il materiale se scaldato (intorno ai 60°) diventa malleabile e può essere piegato ed anche trattato a stampo; anche per questo è considerato come la prima resina termoplastica prodotta.

La celluloide è un materiale elastico ed infrangibile, resistente agli urti ed impermeabile all'acqua. La sua nascita ha origine dalla ricerca di un sostituto per la realizzazione di palle da biliardo, ma venne in breve tempo utilizzata per moltissime altre applicazioni, come pettini, manici di coltelli e soprattutto come supporto per le pellicole fotografiche. Oggi a parte alcune stilografiche, viene utilizzato per le palline da ping pong e per i plettri.

La celluloide è un materiale molto resistente, richiede comunque una lavorazione piuttosto lunga in particolare per l'essiccazione che consente di eliminare i residui di umidità dal materiale. Se questo non avviene infatti essa può dare subire una cristallizzazione, diventando estremamente fragile. Un altro problema comune con le penne in celluloide è la discolorazione, presente principalmente nei colori più chiari come il perla o il verde giada; questa è in genere dovuta al rilascio di gas solforosi da parte dei sacchetti di gomma. Inoltre la celluloide è estremamente infiammabile, e non è il caso di scaldare una penna in questo materiale con fiamme vive.

Il nome celluloide è in realtà il nome commerciale dato a questo materiale dal primo produttore, la Celluloid Manufacturing Company, che deteneva i relativi diritti sul marchio; per cui negli anni successivi sarà chiamato, in particolar modo dai vari produttori di stilografiche, nei modi più diversi: Radite dalla Sheaffer, Permanite dalla Parker, Pyroxalin dalla Eversharp, Aurolite dall'Aurora, Coralite dalla Carter ...

Oltre all'uso diretto, la celluloide si presta alla combinazione con altri materiali, in particolare la Carter realizzò un caratteristico materiale iridescente, denominato Pearltex, combinando la celluloide con madreperla. Un effetto simile si trova nella celloluide denominata Abalone dalla Sheaffer.

Per le sue caratteristiche di resistenza meccanica, infrangibilità, impermeabilità, per la facilità di lavorazione e ma soprattutto per l'infinita capacità di colorazioni diverse, a partire dalla metà degli anni '20 la celluloide divenne il principale materiale usato dai produttori di penne stilografiche e rimase tale fino agli anni '40 quando iniziò la diffusione del polistirene e delle altre resine plastiche.

Benché molti ritengano che la celluloide sia stata introdotta sul mercato dalla Sheaffer in realtà la prima azienda americana ad averla usata estensivamente nella sua produzione è la LeBoeuf, che la utilizzò per le proprie penne a partire dal 1920 circa, la Conway Stewart ne contesta il primato, asserendo di essere stato il primo costruttore ad aver prodotto (sempre in quegli anni) la prima penna in celluloide. In realtà esistono riferimenti alla produzione di penne in celluloide fino dal 1905[11] ma si tratterebbe comunque di celluloide nera, e non di quella celluloide colorata che diventerà il materiale più significativo a partire dalla seconda metà degli anni '20.

Resina plastica

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Una Parker 51, una delle prime penne realizzate in resina plastica

Con la dicitura resina plastica si intende indicare in maniera generica l'infinita varietà di materiali plastici lavorati a stampo o a iniezione che sono a tutt'oggi utilizzati per la gran parte della produzione di penne. In realtà anche materiali come la celluloide o la galalite sono resine plastiche, ma tratteremo brevemente in questa sezione solo le principali plastiche utilizzate nelle produzioni storiche fino ad intorno gli anni '60.

La penna che più di ogni altra viene considerata il prototipo dell'ingresso delle resine plastiche nel mondo della stilografica, è la famosissima Parker 51, nata nel 1939, ma commercializzata estensivamente a partire dal 1941. Il corpo della penna, così come la sezione ed il guscio che protegge il pennino coperto venne realizzato in Lucite, una versione di plexiglas sviluppata dalla DuPont.[12]

La Parker non è stato comunque il solo produttore ad aver utilizzato i nuovi materiali, anzi ben prima del lancio ufficiale della 51, proprio nel 1939, la Waterman aveva immesso sul mercato la Hundred Year, prodotta con lo stesso materiale, la lucite, e che probabilmente è stato il primo modello di rilievo prodotto in resina plastica. Un'altro modello celebre di grande successo realizzato in resina plastica è la Skyline della Eversharp, ma in questo caso la penna venne realizzata in polistirene. A partire dagli anni '50 la gran parte dei produttori iniziò ad abbandonare la celluloide, che fino ad allora era il materiale dominante, per passare all'uso di diverse resine plastiche.

All'epoca della loro introduzione le resine plastiche presentavano notevoli vantaggi, primo dei quali la facilità della lavorazione, che potendo essere effettuata con iniezione a stampo favoriva l'industrializzazione della produzione delle parti a prezzi molto più bassi. Inoltre le nuove plastiche erano anche molto più resistenti agli agenti corrosivi, uno dei motivi infatti per cui la Parker 51 ricorse alla Lucite era la necessità di resistere agli effetti corrosivi del nuovo inchiostro ad asciugatura rapida introdotto insieme alla penna.

Lo svantaggio principale delle resine plastiche, al momento della loro introduzione, era invece quello di non poter essere realizzate che in colorazione a tinta unita. Questo però risultò essere un problema minore, perché proprio in quello stesso periodo le tendenze stilistiche, anche sotto la spinta della nascita di questi nuovi materiali, si orientarono su uno stile modernista e minimalista, ed i coloratissimi modelli in celluloide iniziarono ad essere visti come un po' antiquati.

Al giorno d'oggi la gran parte delle penne viene realizzata in una qualche resina plastica, più o meno lucida o resistente a seconda della realizzazione. L'evoluzione della tecnica consente anche di creare plastiche colorate la cui brillantezza e varietà di colori ha ben poco da invidiare alla celluloide. Tutte queste però restano realizzazioni industriali il cui valore effettivo resta discutibile, per quanto una azienda possa sostenerne la preziosità. La celluloide infatti, per i tempi lunghi di lavorazione e l'impossibilità di lavorazione a stampo, resta un materiale molto più prezioso di qualunque resina plastica, ed è anche per questo che ha visto un ritorno al successo negli anni recenti, come caratteristica distintiva di alcune produzioni (in particolare quelle della Visconti) di penne di lusso.

Note

  1. la parte più prettamente tecnica e storica sul singolo materiale è realizzata partendo del materiale pubblicato sulle relative voci di Wikipedia, a cui si sono aggiunte considerazioni specifiche per l'uso dello stesso nella produzione di stilografiche.
  2. si vedano le voci italiana e inglese di Wikipedia, che presentano però delle discordanze, in particolare sull'attribuzione dell'invenzione a O. Meyer e a T. Hancock per la prima e a Charles Goodyear per la seconda.
  3. in inglese ebonite, o più comunemente hard rubber dato che ebonite era un nome commerciale.
  4. per maggiori dettagli tecnici si può fare riferimento a questo articolo.
  5. anche se sono noti modelli Tibaldi in ebanite colorata.
  6. anche se oggi questo avviene solo per le penne di maggior pregio, dato che questo materiale non può essere lavorato a stampo.
  7. ad opera Adolph Spitteler e Wilhelm Krische, che poi la brevettarono nel 1899, si veda la relativa voce su Wikipedia.
  8. ad opera del chimico belga Leo Baekeland, cui deve il nome, si veda la relativa voce su Wikipedia.
  9. David Nishimura riporta, in questa discussione, la presenza di queste penne trasparenti in cataloghi della Parker a partire dal 1913, la pubblicità da cui è estratta l'immagine riportata è del 1916.
  10. l'invenzione è attribuita a John Wesley Hyatt, ma esistono vari predecessori (le sue origini vengono fatte risalire al lavoro di Alexander Parker in Inghilterra); inoltre la data esatta della sua origine è incerta, al solito si possono consultare per dettagli le voci italiana e inglese di Wikipedia.
  11. David Nishimura in questa discussione fa riferimento ad un articolo del 1905 che parla di penne in celluloide (nera).
  12. si tratta di polimetilmetacrilato (o PMMA) una delle resine plastiche più comuni.

Riferimenti Esterni